Pittore e ritrattista
Pontormo, Empoli 1494-Firenze 1556
Allievo dapprima di Andrea del Sarto e poi
suo rivale, è il più grande rappresentante del primo manierismo
fiorentino. Artista tormentato, introverso, sempre sperimentale, spicca
non solo per una particolare ricerca delle forme e delle tinte rare,
ma anche per l'originalità della vita privata: viveva, solo, in
un'alta casa, nella camera all'ultimo piano raggiungibile solo per una
scala ritirabile per mezzo di una carrucola. Il suo "Diario"
(1554-56) è un manifesto delle sue nevrosi.
Tranne rare visite a Roma per studiare i capolavori del Buonarroti,
da cui trae una vibrante monumentalità, vive sempre a Firenze protetto
dai Medici.
Cosimo il Vecchio,
Uffizi
La sua ritrattistica parte dal Ritratto di Gentildonna con cestello di fusi (Uffizi), dove reinterpreta con maggior mordente lo stile di Andrea del Sarto, e arriva alla rude potenza evocatrice del Ritratto di Cosimo il Vecchio (Uffizi) ma non dimentica le preziosità del Bronzino: ne è esempio il Ritratto di Dama conservata a Francoforte. Una grafia nervosa e allungata, opposta al misurato classicismo di Andrea del Sarto, e uno spazio inquieto dove le figure anzichè disporsi in profondità quasi si "scalano" l'una con l'altra caratterizzano le opere maggiori: la Visitazione (1516) affrescata nel Chiostrino dei Voti dell'Annunziata, la Sacra Famiglia in San Michele Visdomini (1518), dove la tensione delle linee compositive trova espressione psicologica in certi sorrisi che sfiorano il ghigno.
Chiesa di S. Felicita -
Deposizione
E ancora la decorazione del salone della villa medicea a Poggio a Caiano
(Vertumno e Pomona, 1521), le Storie della Passione nel Chiostro della
Certosa al Galluzzo (1523-25) ispirate al Durer con un nordicismo quasi
provocatorio, la Cena in Emmaus (Uffizi)
dove precorre El Greco e Caravaggio, la Deposizione (1525-28, forse il
suo capolavoro) in Santa Felicita, la Visitazione di Carmignano.
Dopo il 1530 elabora uno stile che emula Michelangelo ma
in forme sempre più involute e abnormi: ad esempio negli affreschi del
coro di San Lorenzo, distrutti nel 1738, dove il Vasari ricorda
malinconiche scene di cadaveri ammucchiati.