di Gloria Chiarini


Le Gemme degli antichi

Nei mesi scorsi alcuni musei fiorentini sono stati protagonisti di un curioso esperimento realizzato nel nome della creatività. Sale e gallerie si sono aperte per ospitare i modelli di una serie di stilisti che, da veri artisti della linea, hanno tentato - come potevano - di cimentarsi con opere immortali. Effimero contro eterno: la sfida della "fashion" è stata intrigante ma non completa. Sarebbe stato interessante, ad esempio, vedere che effetto facevano questi moderni oggetti di un desiderio passeggero accanto a certi monili incaricati in passato di adornare dame e gentiluomini, regine e cortigiani, schiave e imperatori. Stiamo parlando di quelle gemme, intagli e cammei che da qualche tempo il nostro Museo Archeologico presenta al pubblico in una esposizione permanente e molto suggestiva, inaugurata insieme a quella dei Vasi Calcidesi e visibile secondo gli orari del museo (dalle 9 alle 14, chiuso il lunedì). Si tratta di quasi trecento pezzi, autentici e preziosissimi, realizzati in due principali momenti storici: molti creati in età classica (III secolo a.C.-III secolo d.C.), moltissimi in epoca rinascimentale (secoli XV-XVII), quando una serie di fattori concomitanti rese possibile la rinascita di quest'arte dell'incidere le pietre chiamata Gliptica. I fattori furono principalmente tre: lo studio dell'antico (che fornì lo spunto e i soggetti da imitare), la ripresa dei commerci con l'Oriente (che forniva le pietre) e la ritrovata abilità degli incisori, esercitatisi sui conii delle monete delle Zecche. Anche in quest'arte, dunque, Firenze si trovò in prima linea: non solo nel collezionare gli antichi esemplari, ma anche nel produrne dei nuovi, che a loro volta sarebbero poi stati collezionati e spesso scambiati per antichi.

Biga con figura maschile su basamento. Calcedonio e oro
Questi piccoli capolavori di scultura in corniola, quarzo, agata, ametista, granato, acquamarina... trasformati dagli incisori in ritratti o in complesse scene mitologiche appartengono alla cosidetta "collezione granducale" fiorentina, raccolta da Lorenzo il Magnifico e dai suoi eredi più esperti, come il cardinale Leopoldo de' Medici, vissuto a metà del Seicento e figlio proprio di quella Maria Maddalena d'Austria che abitò il palazzo dove hanno sede i Musei e la Soprintendenza Archeologica, ovvero il Palazzo della Crocetta. Da pochi mesi infatti è terminato il restauro del corridoio costruito dall'architetto Giulio Parigi per la granduchessa di sangue Asburgo, andata sposa nel 1609 al malaticcio (ma prolifico) Cosimo II de' Medici e rimasta vedova dopo soli 11 anni con otto figli da tirare sù. Il corridoio serviva alla sovrana per andare, senza essere vista, ad assistere alle funzioni religiose nella contigua chiesa della Santissima Annunziata. Oggi invece, restituito al pubblico, ospita la collezione di preziosi che dai Medici passò ai Lorena e da questi giunse ai giorni nostri non senza problemi, perdite, dispersioni e furti (l'ultimo risale al 1860). Pochissime, infatti, le gemme che si possono far risalire alla raccolta originaria, quella nata insieme all'Umanesimo con i medesimi intenti culturali di conoscenza e recupero dell'Antico. Fra queste è un cammeo in calcedonio che apre l'esposizione. Raffigura Minerva, dea della Sapienza, e sul suo elmo sono incise le lettere "LAUR. MED.", cioè il nome di Lorenzo il Magnifico. Ma già suo zio Giovanni, figlio di Cosimo il Vecchio, raccoglieva gemme antiche e possedeva ad esempio una corniola scolpita con "Apollo che scortica Marsia", montata in oro dal più celebre orafo dei suoi tempi, Lorenzo Ghiberti (l'autore delle Porte del Battistero). Sappiamo anche che i Medici fecero eseguire in pietra le copie di molte gemme intagliate, affidando il compito allo stesso Ghiberti e al grande Donatello, e poi le esposero nel cortile del loro palazzo. La nascita della raccolta è quindi legata fino dalle origini all'arte del Rinascimento, che guardava all'Antico come modello insuperabile e trovava ispirazione nei suoi miti: Ercole, (supposto fondatore di Firenze), Bacco, Psiche, Medusa... Alla fine del Quattrocento il maggiore incisore di gemme era Giovanni delle Corniole, formatosi a Firenze proprio sullo studio degli esemplari del Magnifico.

Busto di Minerva. Calcedonio
Purtroppo, dopo la morte di Alessandro de' Medici nel 1537 gran parte delle gioie di questo primo nucleo andò a finire nelle collezioni Farnese, e da questi ai Borboni di Napoli, per via del nuovo matrimonio della sua vedova, Margherita, con un Farnese. Ci penserà Cosimo I, lontano cugino di Alessandro e suo successore al governo della Toscana, a riprendere il tradizionale amore dei suoi antenati per la Gliptica (scomparsa per tutto il Medio Evo) comprando antichi esemplari e facendone eseguire di nuovi. Tra le opere da lui possedute vediamo nelle vetrine una Biga con figura maschile e una Minerva con Ercole fanciullo: due splendidi esemplari in calcedonio integrati con oro nelle parti mancanti (ricordiamo che sono reperti archeologici). Una tradizione più che giustificata vuole che i due gioielli siano stati affidati per il "restauro" a Benvenuto Cellini. Lo stesso artista ricorda nella sua autobiografia di aver eseguito molti di questi lavori a Roma, negli anni intorno al 1523, confessando di avere diffuso esemplari falsi e imitato lui stesso anelli antichi.

Minerva ed Ercole fanciullo.
Calcedonio e oro
L'esistenza dei falsi era conseguenza naturale per tali opere, e se alcuni artisti come Valerio Belli non esitavano a firmare con orgoglio le proprie creazioni, altri usavano nomi falsi tentando di copiare lo stile degli antichi maestri: Pirgotele, che aveva inciso sulle monete l'immagine di Alessandro il Grande, e Dioscoride, autore del sigillo imperiale di Augusto. Era stato proprio quest'ultimo, volendo il suo ritratto sul sigillo, a imitare il mondo ellenistico allontanandosi dalla tradizione romana, ben più "modesta". Silla ad esempio aveva inciso sul sigillo la sua impresa militare maggiore, cioè la cattura del re Giugurta, mentre Mecenate aveva scelto come simbolo la rana. La stessa famiglia Giulia aveva avuto in passato sul suo sigillo una semplice sfinge ma da Augusto in poi l'effigie dell'imperatore sarebbe stata il simbolo stesso della sua autorità. Non è un caso che il secondo fondatore delle raccolte medicee, il granduca Cosimo I, si sia ispirato proprio al divino Augusto e alla simbologia imperiale per sostenere il suo potere: ce lo ricordano due ritratti di Augusto in calcedonio eseguiti per Cosimo da Domenico di Polo (il migliore incisore della metà del Cinquecento). In uno è visibile il Capricorno, segno zodiacale di Augusto adottato poi dal Medici: lo vediamo ad esempio nelle arcate del Ponte a Santa Trinita. Abbiamo già detto dell'apporto dato alla raccolta dal cardinale Leopoldo alla metà del '600: le sue gemme intagliate si riconoscono per via della montatura, costituita da un sottile filo d'oro con due anelli all'estremità. Era questo il metodo ritenuto più idoneo a conservare le pietre intagliate, che attraverso i due anelli venivano legate con dei nastri e fermate sui panni: un metodo che ancora nel '700 era considerato il migliore per le grandi raccolte.

Amore su Leone, Calcedonio
E quella di Firenze era davvero una grande raccolta, invidiata da sovrani come Luigi XV, ammirata da viaggiatori come il marchese De Sade e studiata da esperti come il Mariette ed Ennio Quirino Visconti che per primo, nel 1829, avrebbe scritto una storia di questa arte. Certo i tempi erano cambiati, e se il Visconti apprezzava ancora enormemente il valore estetico ed artistico delle gemme magari non credeva più al loro valore come talismano, e forse cominciava ad avere qualche dubbio sul potere dell'ametista contro l'ubriachezza, o su quello della pietra stellaria contro il malocchio o i vermi...
A cura della Redazione di

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