Granduca di Toscana
Firenze 1610-1670
Figlio di Cosimo II e
di Maria Maddalena d'Austria, rimane
orfano a soli dieci anni e resta per altri sette sotto la tutela della
madre e della nonna, Cristina di Lorena. La
Toscana è ormai un paese povero e pieno di bigotti, dove le
granduchesse reggenti sperperano i magri bilanci dello stato in aiuti
agli eserciti di Francia e Spagna (sta scoppiando la Guerra dei Trent'anni)
e in pensioni ai "convertiti".
Ferdinando, di intelligenza limitata ma di buon cuore e solida cultura, cerca
di risollevare il granducato affiancandosi nel governo i numerosi fratelli (il
valoroso Mattias, il cardinale Giovan Carlo e il principe Leopoldo, vero genio
e mecenate della famiglia, l'uomo a cui Firenze
deve gran parte dei quadri e disegni conservati nelle Gallerie di Pitti e Uffizi)
e varando numerose iniziative e ricerche nel campo dell'agronomia. Ciò nonostante,
non riuscirà
mai a far uscire il paese dalla spirale peste-carestia (in alcuni
anni 9.000 vittime nella sola Firenze, senza contare lo spopolamento
delle campagne).
G.Martellini, Ferdinando II partecipa ad
una riunione dell'Accademia
del Cimento
In politica non va meglio. Perduto il ducato d'Urbino,
che gli spetta come marito dell'ultima erede dei Della Rovere, Vittoria,
da lui sposata nel 1634, fallirà anche un suo tentativo di costituire
una Lega fra stati italiani (1635) per sottrarsi alle alterne egemonie
di spagnoli e francesi. Ferdinando non ha la tempra del bisnonno Cosimo I, e lo sa bene. Per questo preferisce ingrandire
il suo dominio pagando: nel 1649 sborsa la rilevante somma di 50.000
scudi per acquistare dalla Spagna la città di Pontremoli, mentre
dal conte Mario Sforza compra la contea di Santa Fiora.
La cosa che più gli interessa, e che gli darà maggiori soddisfazioni, è la
scienza. Allievo di Galileo Galilei e poi dei suoi discepoli, Torricelli e Viviani,
fonda la "Sperimentale Accademia Medicea" (1642) e poi protegge l'Accademia
del Cimento ideata dal fratello Leopoldo (1657), la prima società scientifica
europea di carattere sperimentale ("Provando e riprovando" ne fu il
motto). In questo campo perfeziona lui stesso l'invenzione del termometro e quella
del termoscopio, dà impulso alla chimica nell'Orto Botanico di Pisa e,
appassionato di botanica e meteorologia, cerca un'applicazione pratica nell'agricoltura
per le nuove conoscenze tecniche.
La debolezza politica gli impedirà di salvare Galileo dal Sant'Uffizio,
ma cercherà in ogni modo di difenderlo durante il processo e poi di renderne
confortevoli gli ultimi anni di vita nel "confino"
della villa di Arcetri, sulle colline fiorentine, dove il grande
scienziato moriva l'8 gennaio 1642.