Vasari - Zuccari, affreschi sulla Cupola
Nel 1572, per ordine di Cosimo I de' Medici, l'incarico di affrescare la cupola del Duomo fu affidato a Giorgio Vasari, affiancato da don Vincenzo Borghini per la scelta del tema iconografico. I contenuti da seguire erano quelli emersi dal Concilio di Trento, che aveva revisionato la dottrina cattolica medievale ordinandola in una sistemazione chiara. A questi motivi Borghini ne aggiunse altri tratti dalla "Commedia" di Dante, di cui era esperto conoscitore. Il testo grafico più vicino da seguire era invece quello dei mosaici del Battistero, organizzato in registri sovrapposti, ma Vasari, grande ammiratore di Michelangelo, trasse ispirazione anche dal Giudizio della Sistina. Il risultato fu una suddivisione dello spazio della cupola (4.000 metri quadrati) in sei registri concentrici sovrapposti, all'interno dei quali furono disposti gruppi di figure ben distinti fra loro grazie alla ripartizione della volta in otto spicchi. Un'accurata corrispondenza dei soggetti lungo le linee di ripartizione (quasi una scansione in meridiani e paralleli) permette inoltre la "lettura" del sistema teologico sia in senso verticale che orizzontale. Ogni spicchio comprende infatti, dall'alto verso il basso a partire dalla finta lanterna centrale circondata dai 24 vegliardi dell'Apocalisse, quattro brani: un coro angelico con strumenti della Passione; una categoria di Santi ed Eletti; una triade di personificazioni raffiguranti un Dono dello Spirito Santo; una regione dell'Inferno dominata da un Peccato capitale. Sullo spicchio est, quello di fronte alla navata centrale, i quattro registri diventano tre per far posto al grande Cristo in Gloria fra la Madonna e San Giovanni che poggia sulle tre Virtù Teologali (Fede, Speranza e Carità) seguite in basso da figure allegoriche del Tempo e della Chiesa trionfante.
Giorgio Vasari,
Santo guerriero
Il 27 giugno 1574 Vasari però moriva, dopo aver realizzato solo un terzo dell'opera con l'aiuto del pittore bolognese Lorenzo Sabatini. Vasari lasciava all'Opera del Duomo i disegni per i quattro settori della cupola rimasti bianchi e alcuni schizzi per la scena dell'Inferno. La morte dell'artista seguì di due mesi quella del suo committente e il nuovo sovrano, Francesco I de' Medici, preferì chiamare a concludere l'opera un artista urbinate, Federico Zuccari.
Federico Zuccari, Autoritratto
Il cantiere riaprì il 30 agosto del 1576. Zuccari, già ben noto nell'ambiente romano, non aveva molta simpatia per il Vasari e, per quanto potè, cercò di affermare la sua originalità rinnovando tutto quanto non era sottoposto allo stretto controllo del Borghini. Abbandonò la pittura vasariana "a fresco" per lavorare col metodo "a secco" (più semplice ma più facilmente deperibile) e mutò i tipi fisici dei personaggi, i costumi, il linguaggio stilistico e la gamma pittorica. Rifiutò le finezze esecutive del Vasari (cangiantismi, riflessi, descrizioni cesellate degli ornamenti) ben difficili da notare a tanta distanza, e scelse una stesura pittorica di debole qualità ma di grande effetto, frutto di un'abilità tecnica appresa nell'esecuzione di pitture d'apparato e fondali teatrali. Negli Eletti raffigurò una viva galleria di personaggi contemporanei: i committenti medicei, l'Imperatore, il re di Francia, Vasari, Borghini, Giambologna e altri artisti, e perfino se stesso e molti suoi parenti e amici. Nel Cristo in Gloria poi, dove Vasari aveva lasciato disegni ispirati alla Sistina di Michelangelo, Zuccari preferì seguire modelli raffaelleschi, più in sintonia con le istanze pietistiche del Concilio. Il capolavoro della sua partecipazione alla cupola resta però la cruda raffigurazione dell'Inferno, con i potenti diavoli ispirati agli affreschi di Luca Signorelli nel duomo di Orvieto, le anatomie senza pudore dei dannati, i gesti violenti e i bagliori rossi del sangue e del fuoco che ravvivano i colori cupi della composizione.
Federico Zuccari, l'Inferno
Conclusa nel 1579 l'impresa, non senza interventi e modifiche anche sulla parte vasariana, Zuccari celebrò l'evento con una medaglia commemorativa (oggi al Bargello) ma non si risparmiò le critiche dei fiorentini e i madrigali satirici del Lasca (Antonfrancesco Grazzini). In effetti, fra gli affreschi all'interno del Duomo, quelli della cupola non sono mai stati troppo amati dalla città: difficili da osservare, a tanta distanza dallo spettatore e in una calotta buia, furono ancor più offuscati nei secoli dall'annerimento della superficie.
Restauro degli affreschi
Un accurato restauro durato dal 1978 al 1985 ha permesso però la loro rivalutazione, verificando l'imponenza del ciclo e la sua importanza nella storia dell'arte fiorentina. In questo cantiere, più che l'antagonismo fra due pittori trovò infatti spazio la contrapposizione fra due modi diversi di intendere l'arte: da una parte il "conservatore" Vasari seguace di una tradizione toscana che scendeva direttamente dal Medioevo, dall'altra lo Zuccari (con i suoi aiuti Stefano Pieri, Bartolomeo Carducci e il Passignano), "importatore" a Firenze dell'esperienza dei pittori-imprenditori romani, basata sulla scarsa qualità dell'esecuzione ma sui grandiosi effetti d'insieme. Un'anticipazione del nascente barocco romano a cui saranno sensibili artisti toscani come Santi di Tito, anch'egli alfiere della Controriforma.