di Gloria Chiarini


I trucchi di Turandot

Il Maggio Musicale Fiorentino festeggia con raffinata esuberanza i suoi sessanta anni di vita. In cartellone spiccano tre opere liriche di grande fascino come "Parsifal" di Wagner (per l'inaugurazione del 3 maggio), "Turandot" di Puccini e "Arianna a Nasso" di Strauss (regia di Jonathan Miller, orchestra diretta, come per "Turandot", da Zubin Mehta). E ancora le coreografie di Karole Armitage per "Apollo e Dafne" di Haendel e una serie di concerti diretti da maestri come Mehta, Sinopoli, Sawallisch, Shipway, Jurowski, Tamayo. Infine musica e danze in piazza della Signoria e persino negli spazi del Giardino di Boboli, vero "palcoscenico del Principe", riscoperto dal Maggio fino dagli anni Cinquanta. Anche gli Uffizi contribuiscono alla vita culturale del Festival attraverso una mostra dedicata a "Felice Casorati scenografo" e ai suoi bozzetti. Ma sembra piuttosto la settima arte, il cinema, a farsi strada in questo Festival dell'età matura. Scene e costumi per il balletto "Apollo e Dafne" saranno infatti del regista americano James Ivory, sensibile traspositore sullo schermo dei romanzi di Forster, ma è dall'Oriente che arriva il vero evento del 60¡ Festival. Si tratta dal regista cinese Zhang Yimou, osannato autore di film come "Sorgo Rosso" e "Lanterne rosse", impegnato al Maggio nella regia della "Turandot" di Puccini, ultima opera del maestro, rimasta incompiuta alla sua morte e come tale presentata alla Scala il 25 aprile del 1926. E' la prima volta che un cinese mette in scena un'opera italiana, e "Turandot" è certo la più adatta. Il libretto di Simoni e Adami, tratto da una fiaba teatrale settecentesca di Carlo Gozzi (sfortunato rivale di Goldoni), è ambientato in una Cina fiabesca e senza tempo, in cui le regie occidentali hanno sempre mescolato luoghi comuni, arredi e costumi provenienti da epoche e regioni diverse del grande Paese: una miscela che ai veri cinesi è spesso sembrata piuttosto ridicola. Zhang Yimou promette invece un lavoro rigoroso e uniforme, basato sull'autentica tradizione culturale della sua nazione e sulla scelta di un periodo storico definito. La vicenda è quella del principe tartaro Calaf e della sua passione per Turandot, figlia dell'imperatore della Cina, principessa dal cuore di ghiaccio pronta (come l'Araba Fenice) a mandare a morte i pretendenti che non sappiano rispondere ai suoi tre quesiti. Ombrelli, pagode, draghi luccicanti, lanterne e costumi sfarzosi sono il classico condimento di questa opera in tre atti, cinque quadri e una decina di movimenti. Non mancano un trono che va e viene dal palcoscenico, un drago di 30 metri che scende sinuosamente dall'alto, un sole che sorge dal sottopalco. Lo spettatore comune può avere solo una vaga idea di quanto sia complesso organizzare e dirigere da dietro le quinte una simile messinscena e fare in modo, sera dopo sera, che tutto fili alla perfezione. Bisogna disegnare e realizzare le scene, i costumi, gli arredi e, una volta alzato il sipario, controllare i giochi delle luci e dirigere i movimenti delle macchine e delle corde che muovono sul palco ogni singolo pezzo della scenografia, in modo che ogni tassello vada al posto giusto nel momento giusto. Il solo siparietto dei ministri Ping, Pang e Pong richiede otto pannelli indipendenti che scorrono su quattro binari. E tutto va fatto in fretta, naturalmente, e in assoluto silenzio. Il "maestro" che dirige tutto ciò, il responsabile del perfetto funzionamento di ogni spettacolo è Raffaele Del Savio, da molti anni direttore dell'allestimento scenico del Teatro Comunale oltrechè autore di straordinari bozzetti. E' lui che guida i bravissimi macchinisti e attrezzisti del Comunale, una cinquantina di persone che si muovono impeccabili sul palco in mezzo a pedane mobili, pannelli, botole e "carri" tirati a mano o mossi da motore su appositi binari. Il problema più grosso per la buona riuscita di ogni rappresentazione è infatti fare in modo che gli incastri fra le varie pedane che sorreggono i "pezzi" della scenografia avvengano senza intralci e senza rumori. Il palcoscenico è in leggera pendenza verso l'orchestra e sarebbe fatale se qualche elemento sfuggisse al controllo ("Ma non è mai successo - ci rassicura ridendo il professor Del Savio - anche se gli intoppi non mancano mai"). "Turandot" è un'opera complessa, benchè come impiego di materiale tecnico sia la metà di altri spettacoli: "Le opere italiane, comunque, non sono mai troppo difficili, funzionano alla maniera tradizionale" dice Del Savio ricordando le ben più grosse difficoltà incontrate con gli spettacoli di Ronconi oppure con il "Mefistofele" messo in scena nel 1989, composto di ben 12 scene. Se comunque per mettere a punto un normale allestimento occorrono un media 45 giorni, per "Turandot" ci sono voluti ben 4 mesi. Il trucco sta tutto sulla scena e si chiama "piattaforma meccanizzata". Quasi la metà del palco (le cui dimensioni sono di 27 metri per 27) è infatti occupata da una piattaforma (larga mt. 12 per mt. 8,5) divisa a sua volta in cinque sezioni e sotto la quale stanno due botole di 4 metri ognuna di larghezza. E' in questa zona del palco che si eseguono alcuni dei movimenti per il cambio delle scene e si realizzano varie "meraviglie", ad esempio apparizioni e sparizioni.

Figurino per il Turandot
Qui, nel I atto, vedremo "volare" (come si dice in gergo) il trono dell'imperatore Altoum, padre di Turandot; qui vedremo venire dal fondo verso il proscenio il letto su cui la schiava Liù muore per amore di Calaf. E vedremo ancora la piattaforma aprirsi per fare emergere un campo di fiori di loto, poi di nuovo inghiottiti dal palcoscenico mentre la piattaforma si chiude su di loro. Dove vanno? Nel sottopalco, naturalmente, il grande vano che sta sotto e che fa anche da attrezzeria. Per dare un'idea di ciò che succede fra le quinte mentre noi gustiamo lo spettacolo ecco la sequenza del terzo atto vista dalla parte del direttore di scena. Si comincia con la piattaforma aperta e il campo di fiori di loto che si intravede attraverso il sipario; poi i fiori scendono nel sottopalco e la piattaforma si richiude. A questo punto i tre segmenti posteriori della piattaforma arretrano di 50 centimetri rispetto alla "madre" lasciando aperta una feritoia lunga 20 metri dove cala il fondale (dall'alto verso il sottopalco). Nel frattempo i tecnici dispongono sulle due piattaforme piccole i "tetti di Pechino" poi, dopo le scene del popolo di Pechino e della morte di Liù, ecco l'apoteosi finale, con un totale cambiamento di scena "a vista", cioè senza il sipario che nasconde gli spostamenti, realizzato con ben 14 "carri". E' questo un momento particolarmente delicato: il cambio è sempre avvenuto a sipario alzato per ricordare la morte di Puccini (e infatti il duetto d'amore fra Turandot e Calaf non è opera del maestro) e le cose devono essere fatte in fretta, in silenzio e al buio. Tutte le comparse (circa sessanta), il coro (un centinaio di persone) e i protagonisti si dispongono sui praticabili di fondo per non intralciare i tecnici che stanno portando via i "tetti di Pechino". A questo punto arriva in soccorso la piattaforma: mentre infatti il fondale calava nel sottopalco, dalla stessa feritoia usciva un grande sole, leggermente illuminato dai riflettori: ecco trovato il modo di nascondere parzialmente macchinisti e attrezzisti alla vista del pubblico e dare loro un minimo di luce per eseguire i cambiamenti. Intanto dal soffitto calano fondali, costruzioni e arredi e quando la luce si riaccende tutto è pronto per l'applauso.

Atto I del Turandot
La cabina di regia di tutto questo è in alto, all'interno del palcoscenico. Qui, su un ballatoio a diversi metri dal suolo, è collocato quello che Del Savio chiama "il cervellone", ovvero un grosso computer in grado di muovere 54 tiri elettrici a motore, ognuno dei quali può sollevare pesi di 700 chilogrammi. Attraverso il computer un tecnico comanda i movimenti di scena seguendo lo spartito memorizzato dalla macchina. Accanto a lui c'è però sempre un maestro di musica: il computer non sbaglia mai ma l'uomo a volte sÒ e il direttore può imprimere all'orchestra un ritmo diverso da quello previsto. In questo caso interviene il maestro di musica, pronto a correggere i movimenti della scenografia. E se il computer si guasta? Niente paura, dietro al "cervellone" ci sono altri 54 tiri per spostare, questa volta a mano, pannelli e fondali. Qualunque cosa accada lo spettacolo, come sempre, deve andare avanti.
A cura della Redazione di


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