di Cinzia Dugo
Filippo Lippi e il Museo Civico di Prato "Galeotto fu il convento e chi lo eresse". Perdoni Dante l'impudente rielaborazione di un suo noto passo tratto dalla Divina Commedia, ma penso non esista verso migliore, seppur rimaneggiato, in grado di introdurre una storia d'amore che ha come contesto storico quello del XV secolo e che paradossalmente decide di nascere presso uno dei luoghi più rappresentativi del mondo spirituale: il convento. Prima di parlare di questa curiosa vicenda è opportuno a mio avviso tracciare un breve profilo biografico dell'artista. Protagonista di una vita in cui, tanto in amore quanto in arte, si avverte la presenza di una disinvolta commistione tra sacro e profano, il giovane Lippi (Firenze 1406), dopo aver ricevuto un'educazione di carattere religioso, scopre l'inclinazione per la pittura all'interno del convento fiorentino del Carmine dove nel 1421 decide di prendere i voti. E' con sottile e divertente gusto per l'aneddotica che Vasari descrive la difficile fase adolescenziale dell'artista durante la quale, il noviziato, simpatico esempio di svogliatezza e indisciplina scolastica, tanto per dirne una, "in cambio di studiare non fa altro che imbrattare i libri suoi e degl'altri". Ciò che in realtà attira l'attenzione del giovane Lippi non è tanto la letteratura quanto l'arte, in particolare la pittura di Masaccio che proprio in tal periodo lavora agli affreschi della cappella Brancacci ubicata all'interno del convento. In questo modo ha inizio l'apprendistato dell'artista che, dopo aver abbandonato i monaci carmelitani, comincia a viaggiare (Padova 1434), e a produrre opere che inevitabilmente subiscono l'influenza della pittura masaccesca. Lippi raggiunge l'apice del successo nel momento in cui accetta di lavorare per la città di Prato (1452-1465)e in seguito per quella di Spoleto dove muore nel 1469 lasciando incompleti i bellissimi affreschi del Duomo (con Storie della Vergine) che vengono portati a termine dall'allievo fra' Diamante. Quello di Lippi è un mirabile esempio della perfetta e armonica convivenza tra il "dipintore"e il frate; anche quando l'artista decide di aprire una bottega a Firenze, lavorando come di consueto su commissione, rivela costanza e fermezza nel mantenere quella parte di religiosità che caratterizza la sua duplice e ambigua indole. Conserva infatti lo stato di monaco secolare grazie al quale nel 1456 ottiene la nomina di cappellano del convento di S Margherita a Prato. E' proprio in questo luogo, totalmente estraneo alle passioni del mondo terreno, che il frate compie uno degli atti più indecorosi dell'epoca: non solo s'invaghisce di Lucrezia Buti, una suora che posa per lui, ma una volta constatata l'ovvia impossibilità di una simile relazione, come nei panni di un buon don Rodrigo antelitteram, rapisce l'oggetto del suo scandaloso amore. Così con uno spirito libero e decisamente anticonformista dà inizio ad una convivenza che verrà riconosciuta legalmente soltanto nel 1461 per intercessione di Cosimo de' Medici; in questo periodo, grazie al perdono e alla benedizione del papa, si regolarizzerà anche la situazione relativa ai figli Filippino che, in seguito come il padre diventerà un famoso pittore, e Alessandra, nati rispettivamente nel 1457 e nel 1459.
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