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di Gloria Chiarini


Guidoriccio, un mistero senese

"Non vi è nulla di simile a Siena nel nostro mondo" diceva Bernhard Berenson, il grande storico e critico d'arte statunitense che alla fine del secolo scorso, innamoratosi della Toscana, venne a vivere a Settignano, sui colli alle porte di Firenze, nella magnifica villa ribattezzata "I Tatti". Sebbene attratto dalla pittura del Rinascimento, come testimonia la sua casa-museo, oggi biblioteca e fototeca per i giovani studiosi d'arte dell'Università di Harvard, Berenson aveva un amore speciale per Siena, da lui considerata come la più completa e unica delle città medievali italiane, un blocco omogeneo e ancora intatto disteso fra le colline del Chianti e le crete della Val d'Arbia, tra il bacino dell'Arno e quello dell'Ombrone, in una zona agricola bella e fertile.

La città si erge su tre colline, dove già prima del Mille risultano unificati tre diversi villaggi. La sua fortuna è strettamente legata al sistema viario toscano; la sua ricchezza cresce parallelamente all'importanza della Via Francigena come principale asse di collegamento tra Roma e il Nord; il suo destino è di essere in continua competizione con Firenze (e se quest'ultima si fa Guelfa e sostiene il Papa, ecco che Siena si fa Ghibellina e sostiene l'Imperatore). Una lotta impari che, dopo la grande epidemia di peste del 1348, la vedrà lentamente soccombere fino alla completa sottomissione al dominio di Cosimo I de'Medici che nel 1555 espugnerà Siena dopo 16 mesi di assedio e declasserà la tradizionale rivale a semplice provincia del granducato, "congelata" per sempre nel suo antico aspetto gotico e cortese (in tutti i sensi).


Piazza del Campo con il Palazzo Pubblico

Ma prima di questo momento Siena vive secoli di grande splendore: quasi quattrocento anni in cui prende le forme che ammiriamo oggi e si arricchisce di tesori d'arte inestimabili creando, con artisti quali Duccio di Boninsegna, Simone Martini, Jacopo della Quercia e i Lorenzetti (per citare solo i più noti) un suo proprio linguaggio artistico molto vicino alla Francia e al raffinato modello di vita delle corti medievali.

Mai come in questo caso si può dire che una strada ha fatto la fortuna di una città. La ricchezza comincia ad affluire a Siena proprio intorno al Mille, grazie alla Via Francigena: ce lo ricordano anche gli affreschi all'interno del Palazzo Comunale, con la vivace raffigurazione della Francigena e del suo traffico di merci e uomini immortalati da Ambrogio Lorenzetti mentre passano sotto l'arco di Porta Comollia, quella che si apre verso nord. L'affresco è il celebre "Gli effetti del Buon Governo in città e in campagna" (eseguito nel 1337-39), contiene un evidente messaggio propagandistico voluto dal governo della città e ci presenta Siena al massimo del suo fulgore. Il governo di cui parliamo è quello cosiddetto "dei Nove", un'amministrazione oligarchica di mercanti e banchieri che avrebbe retto la città dal 1287 al 1355, appunto gli anni in cui Siena ha ormai stabilito la sua forma urbana scritto il suo vocabolario artistico. Fra Due e Trecento, con la stabilità politica derivata dalla vittoria sui guelfi fiorentini nella battaglia di Montaperti (1260), Siena aveva infatti avviato un processo di programmazione urbana e territoriale che avrebbe avuto come risultato una delle soluzioni urbanistiche più straordinarie del Medioevo, quella che vediamo ancor oggi e che tanto aveva colpito Bernhard Berenson. Scendendo dalle tre colline originarie, tutt'ora avvolte dalle antiche mura concepite all'inizio del Trecento, le strade si allungano strette e tortuose sui crinali, allineando case, palazzi e botteghe. Le mura si sviluppano per sette chilometri, punteggiate da torri e baluardi che nessun'altra città ha conservato così intatti. Il potere civile si insedia nella zona più bassa, alla convergenza dei colli, creando la scenografica "conghiglia" che dà forma alla piazza del Campo. Qui viene eretto in pietra e cotto l'elegante Palazzo Pubblico (1297-1342), poi completato con la svettante Torre del Mangia (102 metri di altezza, costruita nel 1338-48 su disegno di Lippo Memmi), che per decreto comunale doveva essere alta quanto il Campanile del Duomo, costruito più in alto sulla collina: il potere civico dichiara cioè orgogliosamente di avere pari dignità rispetto al potere ecclesiastico.

Il Campo, con la sua pavimentazione quasi "carnosa" di mattoni rosa, è un po' il salotto della città. I Nove decretarono che i palazzi che la chiudono ad anello dovessere avere tutti le stesse finestre a trifora del Palazzo Pubblico (regola seguìta ancora ai primi del '700 nella ristrutturazione di Palazzo Sansedoni) e vi aprirono tutt'intorno undici strade, attraverso cui il popolo poteva accorrere al suono della campana e ascoltare le decisioni del governo, radunarsi per andare in guerra, giocare alla "pallonata" o giostrare con i tori. Qui la folla si raccoglieva per ascoltare le prediche di San Bernardino e per assistere a quello che è ancora oggi lo spettacolo più amato, il Palio delle Contrade, sfrenata gara equestre che oggi come allora si corre ogni anno il 2 luglio e il 16 agosto secondo la tradizione del XIII secolo.

La maestosità del Palazzo Comunale testimonia il massimo della potenza raggiunta dalla Repubblica Senese nella sua lunga storia. Basta pensare che alla metà del '300 la città era più grande di Londra o Parigi, aveva un rinomata Università e uno Spedale all'avanguardia (Santa Maria della Scala): due istituzioni attive ancora oggi. La solidità della moneta d'argento su cui si basavano i banchieri senesi fu messa in discussione solo a partire dal 1252, quando Firenze coniò il suo primo Fiorino d'oro mandando al tappeto tutte le altre monete europee. Poi le congiunture internazionali si accanirono contro l'economia senese, il governo divenne instabile e infine sopravvenne la peste, la "morte nera", con la sua spaventosa falcìdia di vite umane - ben 65.000 vittime nella sola estate del 1348, fra cui i fratelli Ambrogio e Pietro Lorenzetti. Siena continuò ad essere ricca per almeno un altro secolo, e le sue botteghe di pittori, scultori e architetti a lavorare per renderla più bella, ma il destino era ormai segnato e al lento declino corrispose una cristallizzazione di forme e tradizioni.

Tanto devota alla Vergine da definirsi "civitas virginis", Siena le rese omaggio consacrandole il suo elegante Duomo e numerose opere d'arte: si diceva infatti che solo grazie a lei l'esercito senese aveva potuto sconfiggere i fiorentini nella battaglia di Montaperti. Possiamo solo immaginare la fastosa processione con cui tutti i senesi il 9 giugno 1311 scortarono fin sull'altare maggiore della cattedrale la grande Pala dipinta da Duccio di Boninsegna in tre anni di lavoro. Raffigurava la Madonna in trono col Bambino in mezzo a una fitta schiera di angeli e santi, fra cui i patroni della città; sul retro ventisei pannelli con le storie della Passione. Un'opera grandiosa e possente che già portava i segni del linguaggio figurativo senese: armoniosa limpidezza della pittura, dolcezza degli sguardi e degli atteggiamenti, una fluidissima linea di contorno (oggi la possiamo ammirare nel Museo dell'Opera Metropolitana, accanto al Duomo).

Particolarmente grato per la vittoria di Montaperti doveva poi essere il governo della città, che dopo i 1260 avrebbe dato il via a un'esplosione di mecenatismo artistico che ebbe al suo centro proprio il Palazzo Pubblico, la sua costruzione e la sua decorazione. Non dimentichiamo che proprio a Montaperti la Repubblica senese aveva fatto prigioniero un pittore fiorentino di grande fama, Coppo di Marcovaldo, che per "riscattarsi" aveva dipinto gratuitamente la Madonna del Bordone (1261) oggi in Santa Maria della Scala, ma non sapremo mai quanto la presenza dell'artista possa aver influenzato la scuola locale. Sappiamo che nel 1302 lo stesso Duccio aveva avuto l'incarico di dipingere una Maestà (oggi perduta) per la "casa" dei Nove ma sarà un pittore della nuova generazione, Simone Martini, a lasciare nella Sala del Consiglio il grande affresco con la Maestà che vediamo oggi. Elegante e raffinato nei suoi tenui colori, questo affresco del 1315 si accompagna ad alcuni versi - scritti nella nuova lingua "volgare" - con cui la Madonna-regina esorta i governanti di Siena a reggere con onestà le sorti della sua città.


Palazzo Pubblico, Guidoriccio attribuito a Simone Martini

La visita all'interno del Palazzo Pubblico è qualcosa di imprescindibile per chi voglia accostarsi alla storia e alle bellezze di Siena. Le sue Sale monumentali, il Museo Civico e la Quadreria formano un tutto unico di incomparabile bellezza e suggestione, che merita una visita accurata (il complesso è aperto tutti i giorni, incluso la domenica, da metà novembre a metà marzo con orario 9.30-13.30, nella stagione estiva invece orario continuato 9.30-18).

Tra gli affreschi degli spettacolari saloni gotici trionfano la "Maestà" di Simone Martini e gli "Effetti del Buon Governo" di Ambrogio Lorenzetti, ma anche quelli di Taddeo di Bartolo nella Cappella, di Sano di Pietro nella Sala del Mappamondo e di Spinello Aretino nella Sala della Balìa. Un altro senese illustre, il manierista Domenico Beccafumi, è invece autore del soffitto nella Sala del Concistorio (1529-35), eseguito alla vigilia della conquista senese da parte delle truppe fiorentine di Cosimo I, mentre la Sala Monumentale, decorata fra il 1886 e il 1891 è un omaggio dei pittori senesi all'Unità d'Italia. All'intero del Palazzo sono anche raccolte di sculture, ritratti, stampe, maioliche, armi e monete. Saliti nella Loggia ci si trova poi faccia a faccia con le sculture originali di Jacopo della Quercia per la Fonte Gaia, realizzata nel 1414 sul Campo, proprio di fronte al Palazzo Pubblico, e smontata nel 1868 per preservarne i pezzi dalle intemperie sostituendoli con copie.

L'esaltazione del potere civile e comunale trova nel palazzo di Siena il suo monumento per eccellenza, e negli artisti senesi i suoi interpreti più acuti, in particolare in una serie di dipinti di soggetto storico, nei quali si inaugura un modo nuovo e originalissimo di rappresentare lo spazio, caratterizzato da una attenta - e quasi "topografica" - descrizione dei luoghi e degli edifici nel paesaggio. Sulle pareti del Palazzo Pubblico sono infatti illustrati alcuni importanti episodi della vita di Siena medievale, come la conquista di una lunga serie di castelli e città fortificate del territorio, che all'epoca comprendeva anche l'attuale Maremma grossetana e tutta la costa tirrenica da Follonica fino a sud dell'Argentario. Sulle pareti del suo Palazzo, nella Sala detta del Mappamondo, il Governo dei Nove volle infatti raffigurare quelle conquiste che avevano fatto la grandezza di Siena, e commemorare le gesta dei protagonisti, i capitani del suo esercito. Riconosciamo ancora gli episodi della resa di Giuncarico (circa 1314) e della Battaglia in Val di Chiana (affrescata da Lippo Vanni nel 1363) e, grandiosa fra tutte, la glorificazione del condottiero Guidoriccio da Fogliano, capitano dell'esercito senese nell'assedio di Montemassi, raffigurato sullo sfondo di un paesaggio guerresco di castelli turriti e di accampamenti militari.

Proprio questa immagine, un tempo quasi emblema della città, è oggi al centro di una dibattuta questione. L'autenticità dell'affresco, da sempre descritto nelle cronache, assegnato a Simone Martini e datato 1328, è stata da tempo messa in discussione. In particolare da quando, durante alcuni lavori di restauro, un altro magnifico affresco è apparso sulla stessa parete, al di sotto di antichi intonaci. Vi si vedono rappresentati due condottieri, uno dei quali pronto a ricevere l'omaggio dell'altro: sullo sfondo un'abitato sinteticamente descritto attraverso una chiesetta e un'alta torre circondati da palizzate difensive. La qualità del dipinto è altissima e innegabile, tanto da poter sostenere senza sforzo un'attribuzione a Simone Martini. La datazione può benissimo collocarsi intorno al 1314 e la descrizione che appare nelle fonti antiche si adatta al soggetto. Ma... quale dei due è il Guidoriccio autentico, quello nato dalla prestigiosa mano di Simone? E' probabile che si tratti proprio di questo secondo, tornato alla luce una quindicina d'anni fa. L'altro, quello reso celebre da tutti i testi, potrebbe addirittura essere un "falso" creato fra Quattro e Cinquecento, forse perchè il dipinto di Simone era stato coperto dal Mappamondo che dà il nome alla Sala. Ma i senesi e il loro governo non volevano che si perdesse il ricordo del loro battagliero eroe e così lo raffigurarono di nuovo, più in alto e questa volta a tutta parete e in abito da parata, scrivendo a grandi lettere sotto l'affresco la data "MCCCXXVIII", quella dell'evento storico.

Chi ne fu l'autore? Questo è un mistero ancora tutto da indagare ma la "contesa" fra i due Guidoriccio non fa che rendere ancora più affascinante la visita al Palazzo Pubblico.


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