di
Cinzia Dugo
La posizione sociale dell'artista nel Trecento
Il significato della professione dell'artista non è sempre stato
lo stesso nel tempo. Per coloro che riescono ad ottenere una discreta fama
e a conseguire vari riconoscimenti, oggi esercitare quest'attività
può voler dire non solo occupare una buona posizione economica, ma
anche godere di precisi privilegi morali e sociali. La nostra epoca ci pone
di fronte ad una realtà ben diversa da quella del XIV secolo caratterizzata
invece dalla nascita di una nota schiera di artisti Giotto, Simone Martini,
Ambrogio e Pietro Lorenzetti) che, pur avendo gettato le basi dell'arte
rinascimentale, godevano di privilegi di gran lunga inferiori rispetto a
quelli attuali.
Andrea Pisano, L'arte del fabbro
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Innanzitutto occorre dire che nel Trecento il luogo in cui si svolgeva
l'attività artistica era quella della bottega, costituito da un
unico ambiente o da più vani spesso appartenenti a comunità
religiose (chiese e conventi), ma generalmente collegati all'abitazione
dello stesso proprietario. Da questa prima indicazione emerge il concetto
dello stretto rapporto tra arte e artigianato, binomio che ormai da tempo
sembra aver ceduto il posto ad una compagine artistica che non molto frequentemente
e anche a fatica si rivolge a coloro che oggi sono soltanto gestori di
anonime imprese: falegnami, fabbri, muratori, scalpellini etc. Come spiegare
allora una simile rottura della fusione tra queste attività? Forse
attraverso un'errata attribuzione di valori. Infatti, se da una parte
l'artista conferisce maggiore importanza all'idea, al progetto del suo
lavoro e ha quasi paura di contaminare la propria categoria con quella
artigianale, dall'altra l'artigiano crede che la sua non sia vera e propria
opera d'arte e comunque non equiparabile a quella, spesso soltanto presunta,
delle figure artistiche più gettonate del momento. Tornando al
Trecento questa è l'epoca in cui l'artista seguiva un tirocinio
che consisteva nell'ingresso all'interno di una bottega dove mettere in
pratica ciò che il maestro con pazienza e costanza insegnava. Tra
le prime mansioni c'erano quelle di tritare e macinare i colori, cuocere
le colle, tritare i gessi, gessare le tavole, cioè preparare lo
strato di fondo su cui doveva essere apposta la pittura. Soltanto in un
secondo momento il giovane apprendista poteva eseguire vere operazioni
pittoriche e quindi imparare a disegnare, copiare alcune opere o preparare
i fondo oro delle tavole.
Andrea Pisano, La scultura (particolare)
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Il periodo di apprendistato durava dai tre ai sei anni e in alcuni
casi l'allievo era tenuto a pagare il maestro che oltre all'insegnamento
di una professione garantiva all'apprendista vitto e alloggio. Come le
altre attività anche quella artistica era obbligata ad iscriversi
ad una corporazione. Ad esempio i pittori fiorentini facevano parte dell'aggregazione
dell'Arte dei Medici, Speziali e Merciai; mentre gli scultori erano membri
della meno importante corporazione dei muratori e carpentieri. Benchè
i pittori appartenessero ad una delle associazioni più ricche e
note questo in realtà non procurava loro nessun particolare privilegio:
da semplici sottoposti quali erano non potevano accedere alle maggiori
cariche corporative, nè ottenere premi per determinate prestazioni
tecniche. L'unica via per uscire dall'anonimato e ottenere riconoscimenti
era quella privata. Non di rado gli artisti si mettevano in contatto con
personaggi di alto rango per i quali eseguivano opere che spesso dovevano
rispondere alla funzione rappresentativa e propagandistica dello 'status'
sociale dei destinatari. Ma anche in questi casi, nella preoccupazione
di soddisfare le richieste dei committenti, che stabilivano il formato,
la grandezza e la tonalità dei colori dell'opera, l'artista si
sentiva vincolato, oppresso da una mentalità, quella tardo-medioevale,
che opponeva a tale categoria il riconoscimento di una maggiore dignità.
Per ottenere l'emancipazione dalla condizione di subalternità i
cosiddetti maestri formarono un'associazione, la compagnia di S. Luca,
che si collocava al di fuori delle corporazioni cittadine e comprendeva
pittori, scultori, miniatori e maestri vetrai. Questo in realtà
fu soltanto un vano tentativo di nobilitare l'attività artistica
che cominciò ad acquisire individualità soltanto dopo due
secoli. Oggi la situazione ha veramente poco da spartire con l'epoca tardo-medioevale;
eppure il Trecento, nonostante i suoi mancati riconoscimenti sociali,
è da considerarsi uno dei secoli più prolifici dal punto
di vista artistico-letterario. Che sia forse necessaria una maggiore dose
di umiltà e una rinnovata volontà di fondere l'abilità
artistica con quella non inferiore del mondo artigianale per tornare a
produrre opere di grande valore come nel lontano e affascinante XIV secolo?
A cura della Redazione di
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