Di Cinzia Dugo
Glorie fiorentine in...una tazzina di caffè
E' impossibile misconoscere lo splendore di una capitale della cultura come Firenze, soprattutto agli albori del XX secolo, quando lontano dall'essere avara di fermenti, di celebrità artistiche e letterarie, la città ebbe una sorta di soprassalto di vitalità con la nascita di alcuni caffè e fastose birrerie che diedero al capoluogo toscano allora legato al passato, faceto, arguto e un po' ingenuo, un volto nuovo, prodigo di movimento, luci e colori. In realtà per i fiorentini dell'epoca la fisionomia urbana che, agli occhi di allora appariva desolante e pallida, era non solo motivo di trasformazioni, ma rendeva necessario un radicale cambiamento che si concretizzò poi con l'apertura in centro di vari bar. Così all'orizzonte monocromo di una città priva di coinvolgenti attrazioni, qualche cinema-varietà, qualche tabarin di vario ordine, teatri e concerti frequentati da pochi e di rado, si affacciavano luoghi che in poco tempo si sarebbero affermati come rendez-vous internazionali.
Millenovecento. Erano gli anni delle rivoluzionarie scoperte scientifiche, della sbalorditiva invenzione del cinematografo, inaugurato guarda caso in un famoso caffè parigino, della formazione di nuovi gusti e tendenze non disgiunti dal complesso contesto politico che, da lì a poco, sarebbe sfociato in una profonda crisi internazionale, amaro preludio del primo conflitto mondiale.
Le Giubbe RosseFirenze 1910. Erano gli anni dei pantaloni alla pescatora con i nastrini stretti ai polpacci, dei colletti bianchi inamidati, indossati con orgoglio durante le feste, delle bande chiassose e numerose che, con i loro ingressi trionfali, riempivano le piazze domenicali, gremite di giovani donne accorse in loco per lanciare sguardi ammiccanti ai loro goffi divi. Questo e altro faceva da corollario alla diffusione di alcuni caffè fiorentini, divenuti famosi in parte per gli assidui frequentatori soprattutto artisti, letterati, poeti che, come portavoci di ideologie, posizioni politiche e movimenti artistici, fecero dei luoghi in cui amavano riunirsi dei veri e propri cenacoli di arte e letteratura, talvolta dei rifugi di natura politica dove organizzare manifestazioni a scopo sovversivo.
Un tuffo nel passato che richiama alla mente due dei tanti caffè degli inizi del Novecento che sono passati alla storia come ritrovi intellettuali di primo ordine e che hanno contribuito a rendere indelebili i segni lasciati dal fervido ambiente culturale fiorentino: le Giubbe Rosse e il Paszkowski.
Quello che noi adesso conosciamo come Giubbe Rosse, nome che risale soltanto al 1933 quando, al di sopra della porta d'ingresso, venne collocata una vivace insegna nei colori rosso e oro, prima si chiamava Reininghaus, come i due fratelli svizzeri ai quali si attribuisce la fondazione del locale nel 1900. Ma torniamo agli inizi del secolo. Più che una tediosa consuetudine per gli abitudinari delle Giubbe Rosse che, negli anni fervidi del Futurismo, assurgeva come mai prima d'ora a fucina domestica di sogni e passioni, sedersi ai tavoli e godere quali commensali e amici dell'atmosfera intellettuale che regnava incontrastata nel famoso locale era una piacevole necessità: conversare, scontrarsi, recitare, esprimersi, declamare, mangiare, non pagare il conto, tutto questo i simpatici stravaganti giganti della letteratura e dell'arte del primo decennio del Novecento si adoperavano perchè succeddesse con cadenza giornaliera, con religiosa puntualità. Internamente poi qual'era il volto che allora rendeva così familiari e accoglienti le pareti di quel luogo? Una volta varcata la soglia dove prima pontificava una solida porta girevole si poteva sostare tra i tavoli di ben tre sale: la prima, illuminata da una luce rosa molto soffusa, ricreava l'atmosfera di un tranquillo pensatoio, un circolo internazionale di lettura, la seconda generalmente era adibita al servizio ristorante, infine la terza era la sede in cui gli assordanti dibattiti di chi parlava, contrastati dai commenti sottovoce di chi ascoltava, generavano confusione, esasperavano i proprietari, ma soprattutto turbavano il silenzio dei tornei di scacchi che pensionati e vecchi nobili senza occupazione tenevano al caffè. E i futuristi, burloni e un po' dispettosi com'erano, si divertivano a sbalordire e a polemizzare declamando versi in irrispettosa libertà: "Giubbe Rosse è quella cosa / che ci vanno i futuristi / se discuton non c'è cristi / non puoi più giuocare a dam..." (Ardengo Soffici).
Come ho già detto prima alle Giubbe Rosse furono di casa le figure di maggior spicco del movimento futurista: Filippo Tommaso Marinetti, Giuseppe Prezzolini, Giovanni Papini, Ardengo Soffici, Aldo Palazzeschi, i pittori Boccioni, Carrà, Severini, Balla e tanti altri. Di quest'ultimi poi nel 1913 veniva organizzata una mostra che diffondeva i principi della corrente cui aderivano. Testimoni celebri lo ricordano come un vero e proprio successo tant'è che davanti all'ingresso del locale si formavano file lunghissime di semplici curiosi e addetti ai lavori uniti dal desiderio di perdersi tra le forme, i colori, le emozioni di quelle che si sarebbero affermate come le nuove strade percorse dall'arte.
Caffé PaszkowskyIl periodo successivo toccò delle punte di malinconia che lentamente svanirono durante il dopoguerra quando un nuovo successo portò alla ribalta le Giubbe Rosse con la frequentazione di altri illustri esponenti di movimenti letterari e artistici: Arturo Loria, Giuseppe De Robertis, Carlo Emilio Gadda, Eugenio Montale, Felice Carena, Ottone Rosai, Libero Andreotti etc. Si concludeva così uno dei momenti più prolifici delle Giubbe Rosse che attualmente è considerato un eccellente caffè, la cui 'età sembra non aver intaccato la grande lezione del passato, nonchè la voglia e la straordinaria capacità di continuare a promuovere mostre di pittura o scultura, incontri letterari o presentazioni di opere di autori contemporanei. Tutto questo forse accompagnato da uno stato sottile di rimpianto e da un'antica, ma costruttiva rivalità con quel luogo che i fiorentini, per non tradire la loro ironica indole e per la difficoltà nella pronuncia che riusciva se non attraverso un sonoro starnuto, si divertivano a chiamare "pazzoschi".
Il caffè Paszkoswski, proprietà di un imprenditore polacco, inaugurato nel 1907, prese vita inizialmente come birreria situata in piazza Vittorio Emanuele II (l'attuale ***piazza della Repubblica***). Cominciarono a bazzicare il locale non i clienti delle Giubbe Rosse o del Gambrinus, ma coloro che, costituendo una classe sociale nuova che non apparteneva nè al popolino nè alla borghesia, intendevano rendersi partecipi delle novità che gremivano i tre ampi saloni del locale. Quando poi il prestigio del caffè aumentò a tal punto che raramente si approdava ai tavoli senza aver prima atteso, a fare gli onori di casa, guidando e accogliendo i clienti più disorientati e impazienti, era un efficiente esercito di camerieri che, per quanto si sforzasse di risultare piacevole, non riusciva a conquistare il pubblico con la stessa crescente simpatia che caratterizzava il locale. Eh si! Secondo i cronisti dell'epoca c'era qualcosa da rimproverare al caffè ed era proprio questa scostante freddezza del personale che, non senza ironia, con funerei smokings, sguardi vitrei, si lasciava dipingere in modo sinistro, tanto che dai clienti veniva trattato con esplicita sufficienza, perfino con il richiamo dell'orribile battito del cucchiaino sulla tazza.
In realtà il Paszkowski, oltre ad affermarsi come uno dei caffè letterari più rinomati dell'epoca, si delineò soprattutto come una specie di porto di mare in cui artisti, letterati, musicisti si soffermavano casualmente e non per fondare o consolidare un gruppo o un movimento. Tuttavia degno di nota è il fatto che solevano radunarsi attorno ai tavolini di quel caffè alcuni membri delle riviste la Voce e Lacerba fondate, la prima, da Giuseppe Prezzolini tra il 1908-10, la seconda all'inizio del 1913 da Papini, Soffici e coloro che diedero vita al giornale letterario antifuturista La Difesa dell'Arte, curato da Mario Carli, Emilio Settimelli e Virgilio Scattolini cui collaborò il conte Bruno Corra, assiduo frequentatore del Paszkowski. A volte poi succedeva che alla medesima agape partecipavano e tenevano banco protagonisti di scuole di pensiero diverse se non opposte, occasioni di dissensi e dibattiti che esplodevano soltanto dopo un'apparente armonia sostenuta da un entusiasmo di tutt'altro genere, quello enogastronomico. In ogni caso la stagione più feconda vissuta dal Paszkowski risale agli anni immediatamente precedenti la prima guerra mondiale, momento in cui il locale si tramutò in una sorta di 'quartier generale' assediato da quanti propugnavano l'intervento dell'Italia in guerra contro l'Austria. Fu allora che al caffè si cominciò a respirare un'aria nuova, a diffondersi un clima rivoluzionario portato dai cosiddetti anarchici, dagli interventisti che quotidianamente s'incontravano per dar forza alle loro convinzioni politiche e manifestarle con convegni. Questi furono gli anni più arroventati del locale sulle cui scene dopo la fine della seconda guerra mondiale scendeva il sipario.
Oggi il caffè elegante, raffinato, frequentato sia da fiorentini che da stranieri, dispone di uno spazio ampio, ma ridotto rispetto a quello originario e distribuito in due bellissime sale animate dalla musica del pianobar. Oltre alla spontaneità e alla naturalezza del personale, ciò che rende unico questo locale, ricco di tradizioni e apprezzato per i suoi long-drink e per la sua classe, è l'arte finissima della pasticceria la cui produzione si distingue per la genuinità e la qualità. Durante la bella stagione poi l'orchestra occupa la piazza prospiciente che, come un tempo, strabocca di letterati, artisti, musicisti, ma soprattutto costituisce un richiamo per tutti coloro che sentono ancora forte la voce di un gloria fiorentina che mai scivolerà nell'oblìo.