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di Cinzia Dugo


Una gita per caso a Sant'Appiano

Avete mai sentito parlare del film Turista per caso? Nel caso in cui l'abbiate fatto (scusate il gioco di parole), leggendo la seguente storia, non vi sembrerà inspiegabile la comparsa dell'immagine di un deja vu, né forse tanto stravagante l'impressione di riscontrare circostanze analoghe a quelle della nota pellicola; questo perché il regista del film della mia vita ha voluto che, qualche settimana fa, mi imbattessi in una sorta di fortuita avventura che ha avuto come destinazione un luogo sospeso tra leggenda e storia: l'antica pieve di S. Appiano in Val d'Elsa. In realtà era da molto tempo che desideravo visitare questa bellissima zona della Toscana proprio nei panni di una turista per caso, uno di quei tanti inconsapevoli visitatori che, spinti dall'incontenibile spirito di avventura e attratti da una strana, ma pura fatalità, si trovano nella condizione, peraltro indesiderata, di scoprire luoghi, monumenti, opere in genere, che, oltre a far rivivere le indiscutibili bellezze di cui sono portavoci, hanno il grande merito di lasciare tracce indelebili nella vita del protagonista dell'escursione assolutamente casuale. Per questo motivo, senza esitare ancora, per gioco o per naturale immedesimazione, sarà proprio il battito ideale di un ciak cinematografico a dar inizio alla mia narrazione o, chi lo preferisce, al racconto di una delle tante sceneggiature della mia vita. Circa due settimane fa per spezzare la noia di una domenica che si profilava come tutte le altre, buia, piovosa, un po' malinconica, assolutamente anonima e che affliggeva tanto me quanto due mie care amiche, decidemmo di uscire e di girovagare senza una meta precisa nella zona delle affascinanti terre del Chianti, luoghi che tra l'altro credevamo di conoscere alla perfezione.


Scorcio della Pieve di Sant'Appiano

Un insignificante problema alla macchina, le chiacchere e il maltempo ci distrassero a tal punto da farci perdere di vista la strada del ritorno; ci trovammo infatti a seguirne una, che lontano dal condurci sulla via principale, stretta e tortuosa, ci portò proprio di fronte a questo magico colle che è chiamato Monteloro, volgarizzamento del latino Mons aureus e sul quale è ubicata l'antica Pieve di S. Appiano nella zona di Val d'Elsa. Assalite dalla curiosità e calamitate dal fascino di un luogo che sembrava avesse fatto di tutto per farsi scoprire, ci dirigemmo verso l'ingresso della pieve che tuttavia non fu in grado di oscurare la straordinaria bellezza di alcuni resti archeologici situati all'esterno e da cui fummo inevitabilmente rapite: quattro pilastri che si ergevano imponenti nel prato antistante l'antica costruzione, quattro prolungamenti del glorioso passato che si innalzavano maestosi verso il cielo nel tentativo non fallito di raggiungere l'eterno, quattro colonne che trasudavano fierezza in parte per la storia di cui sono esemplari rappresentanti, in parte per il segreto che gelosamente racchiudono. Il segreto della giustapposizione, della convivenza tra sacro e profano, quel nodo che avremmo sciolto soltanto dopo il passaggio della simbolica soglia cristiana. Così, coinvolte dalla trasognata atmosfera mistico-religiosa del prato, entrammo all'interno della chiesa accompagnate da uno strano senso di familiarità come se, appena messo piede sul colle, avessimo improvvisamente abbandonato il ruolo di turiste fredde e disincantate per rivestirci di quello di ospiti, ospiti attese. Sensazione che ci venne confermata dall'amicizia fatta con Monsignor Fiorini, parroco di S. Appiano che non tardò in quell'occasione a fare gli onori di casa facendoci da guida e illustrandoci con una certa competenza e commozione il percorso storico-artistico attraversato da S. Appiano.

La sua descrizione puntò soprattutto sulla coltre di mistero e leggenda che avvolge e rende incerte le origini della chiesa. Pare infatti che in epoca precristiana fosse stato costruito sul colle un tempietto pagano all'interno del quale veniva venerato un idolo che è forse da identificare con Eros, dio dell'amore e della passione, di cui è rimasto una piccola scultura in arenaria che rappresenta la divinità a cavallo di un animale (topo o cane), rinvenuto durante la demolizione del battistero avvenuta nel 1805. Più tardi, in età imperiale, confusi tra i mercanti, gli schiavi e i soldati, arrivarono gli annunciatori del Vangelo tra i quali emerse proprio il santo al quale è dedicata la chiesa in questione, un santo del posto e che nemmeno oggi viene contemplato dal Calendario Universale della Chiesa. Il sacerdote parlava di S. Appiano, un uomo che la leggenda immagina nei panni di un povero pescatore che, perseguitato per l'adesione ai principi cristiani, approdò sulla costa toscana dove si stabilì e diede inizio all'opera di evangelizzazione che sentiva come una missione religiosa. In questo modo, nel luogo in cui al tempo dei romani si svolgevano riti pagani, in seguito all'avvento del cristianesimo e ad opera di quei primi seguaci di Cristo, venne costruito un battistero (sec. V e VI) dove crebbe la prima comunità cristiana. Esso è costituito di quattro pilastri cruciformi che, ornati di segni iconografici cristiani, sorreggevano una cupoletta conica. Testimoni ne sono appunto i resti situati davanti alla facciata della Pieve, autori di quel vortice di emozioni che iniziò me e le mie amiche al viaggio casuale.


Idoletto pagano in pietra del dio Eros.

Un viaggio che continuò con la visita alla Pieve e al museo adiacente all'ingresso della Canonica (parte del complesso che si sviluppa attorno ad un chiostro, sec. XII-XIX) ove sono raccolti importanti reperti etruschi (urne, vasi, etc.), vasi sacri dei secoli XV-XVIII, il cosiddetto Idolo e una serie numerosa di tele di scuola fiorentina (sec. XVI-XVII). Per quanto riguarda la Pieve si ha una prima documentazione scritta nel 990. In seguito, a causa della caduta del campanile che avvenne nel 1171, l'edificio venne ricostruito seguendo il criterio della conservazione di quanto della vecchia chiesa era rimasto per cui non c'è da stupirsi se all'interno della Pieve è possibile notare due diverse versioni di romanico: il protoromanico, anteriore all'anno 1000, e l'ultimo romanico del 1100-1200. Dopo le prime indicazioni storiche fornite dal prelato non potei fare a meno di notare che contrariamente a quello che ci si poteva aspettare da un semplice prete di campagna il suo fare accademico rivelava un notevole bagaglio culturale stimolato forse dalla pressante attenzione di un pubblico che, sempre più numeroso, si accalcava intorno alla sua persona. L'interesse cresceva e, ad eccezione di qualche divagazione, mentre il prete continuava a dare soluzioni precise ai dubbi dei presenti, noi, turiste per caso, non potevamo che rimanere colpite dalla assoluta semplicità della chiesa costruita in legno e pietra o dall'espressività dei colori degli affreschi che, provenienti dalla scuola fiorentina del 1400, non solo arricchivano le pareti della Pieve, ma sembravano diventare più vivi e corposi (anche se necessitano di fondi per un serio restauro) di fronte alle altisonanti parole della retrospettiva artistico-religiosa di Monsignor Fiorini. L'eco dei discorsi di quest'ultimo creava un'atmosfera di grande effetto: si aveva infatti l'impressione che le figure e gli oggetti raffigurati sulle pareti acquisissero tridimensionalità, fossero compiaciuti dell'interesse degli astanti i cui toni entusiastici si accentuavano di fronte a opere di grande rilievo come il fonte battesimale (1701), la Volta della Cappella nella base del Campanile, opera di un anonimo pittore fiorentino della fine del 1500 e la pietra tombale (1331) di Gherarduccio dei Gherardini, mercante fiorentino e padre del Pievano Alberto Gherardini. Penultima tappa: l'immancabile chiostro che chiudeva un piccolo prato con al centro un pozzo e un forno ottocentesco alla toscana. In questa parte della Pieve, sotto i loggiati, con visibile orgoglio il sacerdote ci fece notare altri elementi di pregio quali la porta e la trifora romaniche (1200) della ex sala capitolare e il portale del salone Catellini (1505) con il grande caminetto in pietra serena. Infine giunti a termine della visita, il parroco di S. Appiano volle mostrarci quello che può essere considerato il tesoro della Pieve esposto nell'Antiquarium adiacente all'ingresso della Canonica. Ancora una volta, l'ultima di quell'occasione, forte e inevitabile fu la sensazione di un ritorno al profano o meglio all'antica fusione fra il pagano e il cristiano; immagini e profumi emanati soprattutto da opere come i bassorilievi raffiguranti scene di mitologia greca, l'idoletto Eros rinvenuto nel piazzale del battistero accostate pacificamente ad alcuni pannelli cristiani del XV secolo come la Madonna che allatta il Bambino fra due santi, attribuito al Maestro di Signa.

Quello strano pomeriggio invernale si concluse con un caldo e riconoscente saluto a Monsignor Fiorini che fu in grado, probabilmente senza saperlo e soprattutto contrariamente alle sue aspettattive, di risvegliare nelle protagoniste di questo viaggio apparentemente casuale l'amalgama di spiritualità e passione che agita e poi acquieta i torrenti della nostra anima. Termino aggiungendo che il racconto è stato narrato tenendo conto non solo di quei lettori che avevano sentito parlare del film Turista per caso, ma di tutti coloro che potranno dire di averne quantomeno capito il senso in seguito alla lettura di questa storia, perché in fondo il mondo non è che un grande palcoscenico sul quale spesso recitiamo inconsapevoli la parte degli eterni viaggiatori che fingono di non sapere una grande verità: il caso può mai esistere senza il suo amato contrario, l'ordine?

Il Museo è aperto il sabato e la domenica dalle ore 15 alle ore 18 nella stagione invernale, e dalle ore 16 alle 20 nella stagione estiva.


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