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LE TRADIZIONI DEL LAVORO |
Ogni centro abitato del territorio di Bagno a Ripoli si caratterizza in relazione a un'arte o a un mestiere predominanti in passato. Ad Antella si trovavano i muratori ed i falegnami, a Bagno a Ripoli gli imbianchini, a Grassina i lavandai, alla Nave a Rovezzano i tipografi mentre Meoste, Croce a Varliano, Arco del Camicia e La Fonte offrivano lavoro a calzolai e vetturali. Non si riscontrarono sostanziali mutamenti fino al primo dopoguerra, quando la meccanizzazione mise in secondo piano il lavoro artigianale.
Le fornaci da laterizi erano diffuse soprattutto nelle aree argillose del bacino idrografico dell'Ema, verso Capannuccia, e lungo l'Arno, sfruttando l'abbondanza dei depositi di acqua lasciati dalle piene; per la presenza di alberese su vaste estensioni del territorio, si trovavano anche fornaci da calce che venivano attivate periodicamente, per necessità di fattoria.
L'antica fornace Peruzzi
In passato Bagno a Ripoli ha visto una fiorente attività di curatura delle tele di canapa e lino, favorita dall'esistenza di quell' importante insediamento industriale rappresentato dalle Gualchiere di Remole. L'attività del singolo artigiano era variegata: il falegname poteva costruire gli oggetti piu' diversi, secondo le necessità della popolazione del paese o rurale.
I fabbri ferrai, presenti in quasi tutte le frazioni del territorio comunale, si dedicavano prevalentemente alla produzione di materiali per le attivita' agricole: vomeri da aratro, picconi, forbici, coltelli, segoli, chiavi ... e naturalmente provvedeva alle riparazioni e alla periodica affilatura degli oggetti e attrezzi da taglio.
Altra attività assai importante era quella del mugnaio che nel molino ad acqua trasformava in farina i sacchi di grano, principale fonte di sostentamento del contadino. Si contavano numerosi molini, mossi dalla forza idraulica dei fiumi e torrenti di cui il territorio e' ricco. L'attivita' economica prevalente restava tuttavia l'agricoltura e le coltivazioni prevalenti erano vite, olivo e frumento. Quest'ultima coltura, ora pressoché scomparsa, un tempo era largamente diffusa su tutto il territorio, mentre la pianura alluvionale dell'Arno ed in particolare il Pian di Ripoli, prima di essere assalito dall'urbanizzazione, era rinomato frutteto e zona di produzione di ortaggi e primizie.
Un tempo la produzione del vino era di primaria importanza nel territorio ripolese; vini come "il dolce mammolo" di Montisoni, e "la bevanda porporina" di Lappeggi, furono celebrati dal Redi nel suo Bacco in Toscana. La vite era tuttavia coltivata a sostegno vivo, sostenuta cioe' dal pioppo, con intervalli, lungo i filari, di olivi ed alberi da frutto. Il metodo, poco economico e redditizio, costringeva i contadini a riutilizzare le vinacce ricavandone l' "acquerello", una bevanda frizzante, pochissimo alcolica, da bere in inverno per consumare meno vino e venderne qualche damigiana in più.
Vigneto nei pressi di via del Carota
Potatura degli olivi sulle colline di Antella
L'attivita' agricola era organizzata attraverso la forma tipica toscana: la mezzadria. Il lavoro dei mezzadri era faticoso non solo perché era in gran parte manuale (gli strumenti usati erano la vanga, la zappa e la falce) ma anche perché non poche proprietà pretendevano la vangatura di circa un terzo della superficie poderale malgrado fosse possibile - da quando, verso la metà dell'Ottocento, fu introdotto l'aratro moderno - ottenere i medesimi o migliori risultati produttivi arando il terreno con i bovini da lavoro. Nelle aree collinari, parte del lavoro mezzadrile era dedicata alla costruzione e alla manutenzione delle sistemazioni idraulico-agrarie, formate a Bagno a Ripoli dai terrazzamenti (dove il pietrame era abbondante) e dai ciglionamenti (se la presenza di terreni sabbiosi rendeva facile l'inerbimento del ciglione). Era diffuso nei campi un ingegnoso sistema idraulico, formato da fognature sotterranee, acquedocci in pietra, che assicuravano la difesa dei suoli ed evitavano le piccole e le grandi alluvioni.
CURANDAI E LAVANDAI |
Intorno alla fine del 1700, tra diversi mestieri praticati nella Comunità di Bagno a Ripoli si trovava quello del "curandaio". Commissionata dai mercanti di Firenze, l'attività consisteva nello sbiancare le tele di lino, mediante il ranno, ottenuto filtrando acqua bollente attraverso la cenere distribuita sopra un panno. A testimonianza dell'antica attività resta ancora oggi la denominazione "Le Cure" attribuita alla villa di Rimaggio, nei cui annessi essa veniva esercitata. Con il passare del tempo tale mestiere si è mutato lentamente in quello di lavandaio, ma è solo nella seconda metà dell'Ottocento che esso si diffonde e diventa significativo per l'economia della zona.Il lunedì mattina i lavandai partivano sui barrocci per raggiungere Firenze e ritirare i panni sporchi, passando di casa in casa. Il giorno seguente il bucato veniva bollito in grandi conche insieme al ranno, o più tardi, alla lisciva; in una vasca apposita si insaponavano i panni, si raschiavano con il bruschino le macchie più resistenti, si battevano con il maglio di legno e alla fine, il giorno dopo, si andava al torrente o nei viai per il risciacquo. Questa lunga operazione veniva eseguita all'aperto, in tutte le stagioni .L'ultimo atto era la "tesa" sui fili nei campi: allora il paesaggio assumeva un aspetto del tutto particolare e caratteristico.Questa attività, presente nella zona di Rimaggio, si era sviluppata soprattutto a Grassina che, con il diffondersi di questo mestiere, assunse la caratteristica, anche urbanistica, di agglomerato e quindi una fisionomia diversa rispetto agli insediamenti tipici del paesaggio rurale circostante.
La "tesa" dei panni a Rimaggio
LE GUALCHIERE DI REMOLE |
Le Gualchiere, presso la localita' Remole, sono opifici medioevali appartenenti alla corporazione dell'Arte della Lana, nei quali venivano trattati, grazie alla forza dell'acqua dell'Arno, i panni di lana. All'antico edificio erano annessi altri locali adibiti alle diverse lavorazioni: pescaia, diga, cateratte, il porticciolo per le imbarcazioni che trasportavano i tessuti. Il mestiere del gualchieraio che oggi non esiste piu', era praticato fin da tempi remoti a Bagno a Ripoli. La gualcatura o follatura o sodatura, era una fase importante della lavorazione della lana. I tessuti venivano imbevuti di sostanze acide e messi in "pile", recipienti di pietra, alle cui sommita' si trovavano aste con un pesante maglio: mosse dalla forza dell'acqua le aste spingevano il maglio sulle pezze, rendendole compatte, piu' spesse e resistenti. Le tele ancora umide venivano poi trasportate, via fiume, a Firenze per altre operazioni di finitura. Ma i gualchierai, oltre all'attivita' che competeva loro, custodivano le gualchiere e si tramandavano il mestiere di generazione in generazione; erano iscritti anche all'Arte della Lana e quindi sottoposti a tutti i vincoli imposti dalla Corporazione, almeno fino al 1782, anno della sua soppressione. Cio' che resta oggi dell'antico edificio non e' in buono stato di conservazione, tuttavia sono in atto progetti di restauro.
Le gualchiere di Remole
LA MEZZADRIA |
Dalla fine del Medioevo fino a tempi recentissimi Bagno a Ripoli è stato caratterizzato da un'ampia diffusione della mezzadria. L'economia mezzadrile si basava sulla famiglia, intesa principalmente come nucleo produttivo, fortemente vincolata da forme strette di autocontrollo che ne determinavano un accentuato isolamento nella campagna. Tale isolamento, favorito dal tipo di lavoro che impegnava in modo continuativo i componenti del nucleo familiare limitò fortemente non solo molteplici forme di socialità, ma la stessa diffusione dell'istruzione (si pensi che al censimento del 1861 dei 14.607 abitanti presenti, ben 11.982 erano analfabeti). Il sistema di mezzadria condizionava totalmente la vita individuale dei contadini e tutto era rigidamente legato ai bisogni del momento e all'avvenire della famiglia, spesso formata da più nuclei talvolta neppure legati da stretti vincoli di parentela. Ad esempio, per mantenere il livello di sussistenza l'ampiezza della famiglia doveva adattarsi all'ampiezza del podere, che non era facilmente modificabile a causa delle sue rigide strutture.
Famiglia contadina a Montauto (1930) Com'è immaginabile la famiglia contadina ricavava dal lavoro dei campi appena il necessario per sopravvivere e non di rado era costretta a cercare fonti di reddito al di fuori del podere; le donne tessevano la tela, allevavano il baco da seta, intrecciavano paglia per cappelli. Più di recente vegliavano a ricamare federe e lenzuoli o se ne stavano chine su un piccolo telaio a ricamare a buratto (famosa la scuola messa in piedi a Antella nel 1903 dalla signora Clara Onori), mentre gli uomini imparavano a fare il mestiere del muratore, del falegname, o del barbiere. Tuttavia neppure il lavoro agricolo terminava nei campi, anzi continuava all'interno delle case coloniche. Così le stalle, i fienili, le cantine, i magazzini, ma anche le terrazze, i cortili e i loggiati venivano costruiti per il ricovero degli animali e degli attrezzi e per lo svolgimento dei lavori da effettuare al coperto nei giorni di pioggia; mentre la costruzione delle stanze destinate all'abitazione è concepita non soltanto per il riposo della famiglia ma anche per avviare il lavoro del domani. L'architetto Morozzi, nobile colligiano, nel 177O, trattando delle "cautele" consigliava che la camera del capoccia fosse posizionata in modo da vedere e sentire se i "sottoposti" erano attivi e svelti a svolgere le faccende "per poterli proteggere in caso di mancanza". Ne conseguiva che una delle più comuni condizioni delle camere da letto era quella di essere prive di corridoio di disimpegno e di avere porte comunicanti l'una con l'altra.
L'aratura con i buoi
nelle colline di Quarto (1971)La mezzadria si sviluppò sia in seguito alle innovazioni che consentirono l'aumento della produttività della terra, sia grazie alla cointeressenza dei mezzadri nella produzione. Inoltre la necessità da parte di questi di raggiungere, con la metà del prodotto, la sussistenza della famiglia, li costringeva a lavorare bene e duramente, senza bisogno della presenza fisica e della sorveglianza dei proprietari, che pertanto potevano continuare a vivere nel palazzo cittadino dove esercitavano i loro affari ed il loro potere, trasferendosi in campagna nelle "case da signore", per la villeggiatura estiva. Forse è legata a tali precedenti la costruzione della casa colonica concepita come parte centrale del podere e quale strumento del lavoro contadino. Più poderi appartenenti alla stessa proprietà sono raggruppati organizzativamente in fattoria. Le fattorie possedevano le attrezzature (cantina, frantoio, magazzini) per trasformare i prodotti poderali, conservarli, affinarli e commercializzarli. In tempi a noi vicini disponevano di macchine - trattori e trebbiatrici - che noleggiavano a pagamento ai singoli mezzadri. Le fattorie sono sorte in genere accanto alla villa padronale per cui, dal punto di vista paesaggistico, si parla sovente di villa-fattoria il cui insieme raggiunge spesso notevoli volumetrie. Nella fattoria abitavano il fattore e i sottofattori, le cui funzioni riguardavano soprattutto la sorveglianza dei mezzadri e, in minore misura, la tenuta della contabilità della fattoria e dei rapporti economici fra il proprietario e i mezzadri.
Battitura del grano a Villamagna (1941)
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